La Creazione dell’immagine di se

Lo sviluppo delle proprie emozioni nella psicoterapia individuale

A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Francesca Cervati

C’è una simpatica canzone della band “Elio e le storie tese” che narra il primo giorno di scuola elementare dal punto di vista del bambino che si appresta a entrare in classe:

 “Mamma lasciami la mano, un bambino non son più,

Mamma tienimi la mano, non conosco nessuno”

 Il bambino in questione, che solo qualche mese prima non si sarebbe mai posto il dubbio “se fosse opportuno tenere la mano alla madre o no” ora inizia a riflettere sull’immagine che questo gesto darebbe di lui di fronte agli altri.

“Sto perdendo dei denti, non ho ancora la L,

Son vestito elegante, e mi prendono in giro,

Il mio diario è brutto, mi consolo con l’astuccio”

(Elio e le storie tese – Il primo giorno di scuola)

 Già da queste prime frasi della canzone possiamo iniziare a dedurre ciò che poi tratteremo nell’articolo: ovvero il come e quando una persona inizia a realizzare le cosiddette teorie ingenue di personalità, delle emozioni e della conoscenza di sé.

 Si tratta di un argomento più strettamente adatto alla psicologia dello sviluppo, anche se la sua influenza nella psicoterapia individuale è concreta e rilevante: alcuni dei tratti che si definiscono proprio in età scolare (dai 6 ai 10 anni), infatti, rimangono poi stabili per tutta la vita.

Il ruolo della scuola

L’ingresso a scuola di un bambino lo esorta a confrontarsi con compiti sia di tipo intellettuale (scolastico) che sociale (gli altri bambini e gli adulti che lavorano a scuola): il rapporto che si creerà trasforma profondamente l’immagine di sé e questa trasformazione si ripercuote a sua volta sul soggetto, sui pari età e sugli adulti di riferimento.

I diversi studi psicologici sul mondo scolastico e le analisi ricavate dal lavoro svolto negli studi di psicoterapia individuale nel corso degli anni, ha permesso di stabilire come i bambini in età scolare abbiano già idea dell’esistenza di alcuni tratti (come paura, ansia, timidezza) sebbene siano convinti che questi scompaiano crescendo, mentre altri siano permanenti, anche se ovviamente non sanno dare una spiegazione al riguardo.

D’altro canto, e anche in modo più curioso, risulta che la maggior parte degli studi si sia concentrata su un unico tratto, ovvero l’intelligenza.

Lo studio dell’intelligenza

Le ricerche condotte in ambito psicologico e psichiatrico mostrano come a ogni diversa età dello sviluppo sia possibile associare due diverse possibilità:

  • una teoria incrementale delle capacità, la quale sostiene come determinante il ruolo dello sforzo nell’esercizio e nell’apprendimento;
  • una teoria dell’entità, che considera l’intelligenza una caratteristica stabile e permanente dell’individuo, che l’impegno non potrà modificare.

Alcuni autori come la psicologa Carol Dweck sostengono lo studio dell’intelligenza come tratto prioritario rispetto ad altri, poiché essa influisce sulla motivazione al compito, permette di valutare un successo, razionalizza la risposta emotiva e la valuta, influendo così sulla possibilità che quell’emozione possa essere riproposta in futuro.

Una persona con un’intelligenza maggiore avrà quindi una migliore capacità di riconoscere e analizzare le emozioni che successivamente concorreranno alla costruzione dell’immagine di sé.

Il concetto di sé nella psicoterapia individuale

Giunti verso l’età di 7-8 anni, i bambini iniziano a descriversi con termini che indicano tratti di personalità (gentile, simpatico, buono, cattivo, timido), che sono in grado di applicare anche nel confronto con i compagni (sono più bravo di Giulia in italiano, ma lei è più brava in matematica).

Proprio dal confronto con altri inizia lo sviluppo del sé, che la psicologa Susan Harter fa corrispondere allo sviluppo della memoria autobiografica da parte del bambino.

Il bambino inizia a considerarsi un essere vivente distinto con caratteristiche proprie: ciò si può notare anche dalla sua (seppur primordiale) capacità di autovalutazione (“sono bravo in educazione fisica ma vado male in grammatica”), derivata principalmente dal confronto quotidiano con i compiti di natura scolastica.

Secondo la Harter, da questi confronti con le varie situazioni che la vita propone al bambino (non dimentichiamo il “peso” dei rapporti familiari ed extrascolastici) nasce l’autostima.

Sé reale e sé ideale

Altra importante postulazione risulta quella effettuata da Higgins, il quale formula la Self-Discrepancy Theory, secondo la quale l’autostima sarebbe la risultante del confronto tra:

  • sé ideale: come una persona vorrebbe vedersi, gli “standard” che utilizza per autovalutarsi;
  • sé reale: come è o come ritiene di essere.

Maggiore è la discrepanza tra questi due visioni maggiore sarà la sofferenza emotiva vissuta dal soggetto: per questo il lavoro di psicoterapia individuale svolto in studio si focalizza sul riportare equilibrio nella visione che una persona ha di sé.

Un esempio classico è quello di esortare la persona a non porsi obiettivi troppo lontani, i quali sembreranno irraggiungibili nonostante i passi compiuti, ma piuttosto di suddividere l’obiettivo in diverse tappe, che permettano un rinforzo dell’autostima a ogni step compiuto.

Articoli simili